Le “Montagne “ di FRANCESCO CASTELLANO. (1916 – 1978)
Francesco Castellano appartiene alla storia della Sezione di Napoli del CAI, inserito a buon diritto tra i nostri personaggi “storici” accanto ai nomi di Giusso, Mercalli, Palmieri, Fortunato, Croce (solo per citarne alcuni … ) non solo per la sua attività professionale (che qui si sta degnamente celebrando) ma per la sua intensa attività alpinistica, in modo particolare di rocciatore.
Aderì al Club Alpino nel 1932, a 16 anni, nei tempi eroici dell’ Alpinismo napoletano, fu insignito dell’Aquila d’ oro nel 1957 e socio attivo fino alla sua improvvisa e inattesa morte.
E unanime fu lo sconforto.
Il medico scrittore Emilio Buccafusca, fondatore del Gruppo scrittori di montagna della sezione, protagonista del “Futurismo” in campo artistico, così si esprimeva nell’articolo “Ricordo di Ciccio”, pubblicato sul Bollettino n.2 del 1979:
“ Con questo nome , Ciccio, nella Sezione di Napoli del CAI per oltre 40 anni, è stato inconfondibilmente indicato Francesco Castellano, longilineo, asciutto, scattante, estroverso trascinatore. Alpinista completo, Aquila d’ oro, nella vita civile aveva tutto il rilievo di una personalità altrettanto completa di titoli accademici e riconoscimenti a livello mondiale. Ma quando torna a Napoli da pioniere e caposcuola e primario e docente, dopo la permanenza a Stoccolma ove anche il grande Olivercrona lo chiamava affettuosamente Ciccio, ritorna al CAI così come era partito, col nome di sempre, con lo stesso entusiasmo, con la stessa passione….. < A Capri, racconta ancora Buccafusca, in un congresso internazionale di medicina da lui presieduto, ove erano stati presentati i lavori scientifici dei suoi allievi di neurochirurgia, volle presentare, come un gioco fuori programma, altri allievi, quelli di alpinismo. E con questi arrampicò sui faraglioni, dimostrando che erano divenuti quasi migliori di lui. Indicò il bianco di qualche capello, ma sorrise di una grande inesprimibile felicità.
Ricorda ancora, in quell’ articolo, le ascensioni all’ Ortles e al Cevedale, nell’ estate del 1936, e poi quella indimenticabile del Bernina.
< … E’ forse uno dei ricordi centrali: appena fuori della Capanna “Marco e Rosa” ci sorprende una tormenta apocalittica. Non ci ferma. Ciccio guida e procede. La sensazione che ci stiamo avviando vivi nel cuore dell’ inferno assume aspetti di maggiore verosimiglianza quando nella nebbia incrociamo una cordata di svizzeri che ha rinunciato all’ impresa. Scendono dalla Diavolezza. Un breve saluto tra chi sale e chi scende, poi Ciccio scandisce un cenno di tener duro. E noi duriamo. Appena usciti sulla “Spalla” un sole sfolgorante premia il nostro coraggio. Siamo in vetta alle 12.30. Ma siamo anche, sottolinea con orgoglio Buccafusca, i primi del 1936 come risulta dal registro delle firme. Sulla via del ritorno di nuovo la bufera. Quando guadagniamo il tepore della Capanna “Marco e Rosa” gli svizzeri ci accolgono con un “presentat’ armi” a base di piccozze capovolte. La cerimonia di un istante, in quel clima di assoluta discrezione, sembra condensare clamori e onori di
un irripetibile trionfo che dura ancora. Un trionfo che appartiene tutto a Lui, a Ciccio, (detto pure la “valanga” perché artefice di altre imprese e di altre “belle follie” compiute sempre alla stessa corda). L’ orgoglio di essere “alpinisti napoletani” fu immenso”.>